Il coronavirus è ancora
un mistero: cosa non sappiamo in 5 punti
Di Viola Rita 24 Gennaio 2021
Il coronavirus è ancora
un mistero: cosa non sappiamo in 5 punti
di
-
24 Gennaio 2021
Immagine di Elchinator via Pixabay
Il nuovo coronavirus è
sempre un po’ meno nuovo e sconosciuto. Ormai è passato più di un anno dai primi
casi di “misteriose polmoniti“ in Cina e ogni giorno
apprendiamo qualcosa di nuovo sul Sars-Cov-2. Nonostante l’esperienza accumulata, ci
sono ancora diversi aspetti del virus, della malattia Covid-19,
dei vaccini e dell’evoluzione della pandemia che ancora non
conosciamo. Non sappiamo nella pratica quando otterremo l’agognata immunità di gregge, quanto potrà persistere l’immunità fornita
dai vaccini, quanto durerà ancora l’epidemia in Italia
e la pandemia a livello globale, come evolverà la malattia nel
futuro. Le
ipotesi scientifiche sono tante e a volte molto differenti: ad esempio sulla
durata dell’immunità in certi casi si parla di mesi, in altri
addirittura di anni. I risultati sono tutti validi e basati su osservazioni
scientifiche, le differenze e la mancanza di conoscenze deriva dal fatto che
ancora non abbiamo dati sufficienti sul Sars-Cov-2 e soltanto
il tempo e le sperimentazioni già in corso potranno dare risposte più chiare. Ecco quello che (non) sappiamo.
1. Quando raggiungeremo l’immunità di gregge?
Ancora non sappiamo dirlo, ma questa
domanda è importante perché l’immunità
di gregge, che si manifesta quando un virus non riesce più a
diffondersi nella popolazione perché questa è già protetta, è ad oggi un punto di arrivo, il traguardo
nella lotta al coronavirus. Per ottenerla, fortunatamente, non è necessario che
proprio tutti siano immuni, anche se devono esserlo in molti. “Una parte sostanziale di una popolazione deve
essere vaccinata”, spiega
l’Oms, “riducendo la quantità complessiva di
virus in grado di diffondersi nell’intera popolazione”.
Ma si può
davvero ottenere? La vaccinazione diffusa all’interno della popolazione dovrebbe
favorire, in tempi più o meno lunghi, il raggiungimento
dell’immunità di gregge. E quante persone devono essere vaccinate? Di
nuovo, non abbiamo risposte chiare. Inizialmente gli
scienziati hanno indicato che circa
il 60-70% di una popolazione avrebbe dovuto ricevere il
vaccino, dato
riportato anche dall’Oms e confermato
da uno studio sul Lancet.
Questa sarebbe la soglia minima per parlare di immunità di gregge. Ma secondo
qualche scienziato, la stima è troppo bassa: lo sostiene Anthony Fauci, immunologo a capo del
National Institute of Allergy and Infectious Diseases, protagonista scientifico
nella task force Usa per il coronavirus, che individua nell’80-90% di persone vaccinate il
livello per avere l’immunità di gregge. “Dobbiamo
essere un po’ umili”, dichiara Fauci al New York
Times. “Non sappiamo quale sia il numero reale. Penso che la
fascia sia compresa fra il 70 e il 90%. Ma ritengo più probabile il 90%”.
L’obiettivo dell’immunità di gregge è in
generale discusso dagli scienziati quando si realizza la programmazione di
una campagna vaccinale su
larga scala – ma mai di un’immunità di gregge raggiunta naturalmente con la
circolazione del virus, uno scenario ipotizzato
(ma solo inizialmente) dal premier
inglese Boris Johnson.
Ma anche nei paesi e nelle circostanze in cui il coronavirus ha colpito in
maniera davvero molto diffusa una popolazione non si ha la garanzia che questo
possa proteggere quella stessa popolazione in futuro. Rappresentativo è il caso
del Brasile,
di Manaus, città
brasiliana capitale dello stato di Amazonas. Uno studio su Science, coordinato dal
ricercatore Nuno Faria dell’università
di Oxford, indicava che a Manaus circa tre quarti (il 75%) degli abitanti
avessero avuto il Covid. Ma quando successivamente nella stessa città c’è stata
una nuova impennata di casi, Faria è rimasto sorpreso perché la quantità di
nuovi casi non è compatibile con i contagi precedenti che farebbero pensare al
raggiungimento dell’immunità di gregge. La spiegazione in questo caso potrebbe
essere legata alla circolazione di una
nuova variante del coronavirus,
che sfugge al riconoscimento del sistema immunitario.
2. Una volta guariti dal coronavirus quanto dura
l’immunità?
I risultati sul Sars-Cov-2 segnalano che il
livello degli anticorpi specifici contro il virus, sviluppati dalle persone che
hanno avuto il coronavirus, potrebbero calare significativamente dopo alcuni
mesi. Una ricerca indica che l’immunità
cellulare, quella non mediata dagli anticorpi ma dalle cellule T (o linfociti T) del
sistema immunitario, potrebbe durare
fino a sei
mesi e dunque la
persona sarebbe protetta durante questo periodo. Anche per questo, dato che la
disponibilità dei vaccini è ad oggi limitata, l’Oms suggerisce di posticipare anche di 6 mesi la vaccinazione in
chi ha già avuto il Covid-19, tuttavia il test per verificare una precedente
infezione prima di vaccinarsi non è un sistema raccomandato.
Ma i risultati sono vari e uno studio
recente, circolato ampiamente sui media e condotto dal gruppo de La Jolla
Institute for Immunology – qui in preprint e ancora non peer-reviewed – indica
che la memoria immunitaria e la possibile protezione potrebbe durare
molto più a lungo, addirittura anni. L’ipotesi,
ancora da confermare, deriva dall’osservazione di un lieve calo, a distanza di
8 mesi dall’infezione, delle cellule B e T del sistema immunitario. Questi dati
potrebbero essere importanti anche per studiare quando dura l’immunità
fornita dal vaccino, nell’idea che una qualche forma di protezione possa
fortunatamente essere molto duratura. Secondo uno studio ampiamente citato e condotto da Marta
Galante e Jeffrey Shaman della Columbia University, il rischio di una nuova
infezione potrebbe manifestarsi entro un anno dalla
prima (la ricerca era basata su altri coronavirus). Il punto centrale, stando a quanto riporta sul New York Times l’autore
Shaman, è capire se e quanto una reinfezione possa essere fonte di
preoccupazione, considerando i risultati incoraggianti forniti dagli studi
e relativi alla persistente risposta immunitaria. Insomma, non abbiamo ancora
certezze, ma la speranza è che anche nel caso di un contagio o di una
reinfezione i danni possano essere contenuti.
3. E quanto dura l’immunità fornita dal
vaccino?
Non si sa ancora se l’immunità data dalla
vaccinazione possa durare diversi mesi o addirittura anni. Le prove su altri coronavirus già noti (non Sars-Cov-2)
indicano che la protezione data dalla vaccinazione potrebbe durare almeno 9-12
mesi. Gli studi finora raccolti sul Sars-Cov-2 riguardano per lo più l’immunità non
dovuta alla vaccinazione ma al fatto di aver avuto il Covid (nei
pazienti guariti) e il calo dei livelli degli anticorpi
specifici contro il virus, che però rappresentano soltanto una
parte della risposta immunitaria contro un secondo contagio, come spiega una ricerca dell’Imperial College London
pubblicata sul Lancet, o per prevenire lo sviluppo della malattia
se nuovamente infettati. Insomma, le informazioni ad oggi sono parziali. “Non
sapremo quanto dura l’immunità dopo la vaccinazione fino a quando non avremo
più dati su quanto funzionano bene i vaccini contro il Covid-19 in condizioni
reali”, scrivono i Cdc, i Centri per la prevenzione e
il controllo delle malattie) statunitensi. “Non conosciamo ancora il
livello minimo di immunità che si deve mantenere per proteggere
dall’infezione, né quale tipo di immunità fornisce questa
protezione”, scrive in un articolo su The Conversation Anne
Moore, biochimica all’università di Cork. “Se le risposte immunitarie indotte
dal vaccino, come gli anticorpi o le cellule T, calano a livelli
molto bassi, ma riescono comunque a prevenire l’infezione, questo vaccino
fornisce una protezione per un lungo periodo.Ma se è necessario mantenere alte
le risposte immunitarie in maniera costante, allora non lo farà”. In generale,
vale quanto detto prima: è importante capire se e quanto una eventuale
reinfezione dovuta al calo dell’immunità sia preoccupante.
Ma per saperlo purtroppo ci vuole tempo.
4. I vaccini saranno efficaci contro le nuove varianti del
coronavirus?
Ancora non lo sappiamo. Per ora le principali varianti note
sono tre: quella scoperta nel Regno Unito, in Sudafrica e quella diffusa in
Brasile. Secondo gli scienziati è
improbabile che i vaccini attuali siano inefficaci contro
le varianti rintracciate nel Regno Unito e in Sudafrica. In generale, infatti,
le nuove forme di Sars-Cov-2 presentano alterazioni soltanto in alcune parti del virus (in
alcuni pezzetti della proteina spike che è il bersaglio della vaccinazione),
mentre i vaccini dovrebbero fornire una copertura più completa e dunque
funzionare ancora.
Tuttavia, soprattutto sull’ultima variante,
quella cosiddetta brasiliana,
abbiamo meno informazioni. Sappiamo però che questa raccoglie numerose
mutazioni nella proteina spike e che, oltre ad essere probabilmente più contagiosa (come anche le
altre due), potrebbe aiutare il virus a evitare di essere riconosciuto dal
sistema immunitario e dunque renderlo
meno attaccabile dagli anticorpi. Le indagini sono in corso. In
ogni caso, anche se ora o in futuro si rivelerà che i vaccini avranno perso
efficacia a causa delle mutazioni, le case farmaceutiche potranno adattarli e aggiornarli (nel
caso dei vaccini
a mRna piuttosto rapidamente).
5. In futuro il Covid-19 sarà come un raffreddore?
Un’altra domanda frequente è cosa succederà nel lungo periodo,
fra alcuni anni, se verremo in contatto con il Sars-Cov-2. Gli scienziati
stanno già all’opera per capire come potrebbe trasformarsi il Covid-19. Uno studio su Science condotto dalla Penn
State e dalla Emory University indica che è possibile che il virus in futuro,
fra pochi anni, possa assomigliare a un semplice raffreddore, una forma simile a quella causata da altri ceppi della famiglia dei coronavirus. La ricerca
si basa sullo studio dell’evoluzione di forme virali dovute a 4 comuni coronavirus (e del
Sars-Cov-1, causa della Sars, sul quale però abbiamo meno informazioni).
Il modello per il Covid mostra che i suoi
cambiamenti futuri potrebbero avere un andamento simile a quella delle forme
dei 4 coronavirus considerati. In generale in quest’ultimo caso i coronavirus sono molto diffusi –
come potrebbe diventare il Sars-Cov-2 una volta endemico: di solito si contrae un
raffreddore nella prima infanzia e poi successivamente si può essere
reinfettati con forme molto leggere. Il fatto di avere il primo raffreddore da bambini potrebbe
rappresentare un elemento protettivo importante:
una prima infezione da coronavirus causa di raffreddore da adulti o da anziani – come
avvenuto per il Sars-Cov-2 – potrebbe essere maggiormente pericolosa. La chiave
di tutto, dunque, è il passaggio da un andamento epidemico, come nella
situazione attuale, ad uno endemico,
ovvero la sua comparsa e la presenza
stabile in un territorio o in una regione. Questo
cambiamento fa sì che la prima esposizione sia precoce, nell’infanzia, e si
inneschi il meccanismo descritto Insomma, l’idea dei
ricercatori è che anche il Covid potrebbero diventare un malanno di stagione,
ma la cautela (e il condizionale) rimane d’obbligo.
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